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mercoledì 13 aprile 2011

Dell'utilità del proibizionismo e di quanto i francesi del Cinquecento (ma solo loro) ce la sapessero più degli americani del Duemila.

Ho ospitato un paio di couchsurfers di recente. Claire e Christina, da PortlandOregon e Essen, rispettivamente, provenienze età storie e vite diversissime, entrambe buone compagne di "viaggio", entrambe con alle spalle esperienze interessanti da ascoltare.

Con Claire ci ho fatto lunghe chiacchierate. Lei era meravigliata della disinvoltura con la quale gli italiani tengono quotidianamente il vino sulla tavola, e di come spesso ne mettano a parte i figli. Negli USA no: alcool assolutamente tabù fino al compimento del ventunesimo anno di età (o perlomeno così funzionava a Durango, Colorado). Dimodoché, quando uno ha finalmente accesso indiscriminato agli alcolici, impazzisce e finisce con l'abusarne, molto di più di quanto non facciamo noi.

Dico io: ma dov'è l'utilità di questa cosa? L'aveva già capito Rabelais: autoregolamentazione is the way. Certo, bisognerebbe che gli uomini fossero educati, in qualche modo, alla misura, come lo erano gli illuminati di Thélème; e mai in effetti un'epoca è stata tanto votata alla desmesura come la nostra.

Non c'è speranza? Forse. O forse devo solo avere un po' di fiducia nel genere umano. Dopotutto, non mi hanno sorpreso i "reportages" di questi giorni da Manduria? I salentini ne stanno uscendo benissimo. I francesi un po' meno, 'sti stronzi. Ma in fondo Rabelais è morto da tempo, come da tempo il loro capo di Stato si è scordato di essere di origine ungherese.
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